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Immagine del redattoreIl Ricordo di Sé

Esteriore e interiore

Parlavo ieri sera con amici studenti che descrivevano sforzi esteriori e interiori nel cosiddetto’lavoro su di sé’

Mi sono accorto che la differenza tra questi non è evidente.

Uno sforzo esteriore riguarda in qualche modo la ‘macchina’.

Può essere legato a un comportamento, come cercare di essere più gentile. O a un modo di pensare, diciamo il tentativo di minimizzare certe abitudini mentali. Può essere diretto al corpo, come nel tentativo di muoversi intenzionalmente o di eliminare tensioni muscolari.

Tutti questi sono sforzi esteriori. Sono diretti al corpo, o al pensiero, o al sentimento.

Ma allora, di cosa si parla quando si menziona uno sforzo interiore?

Soltanto di una cosa: del portare luce allo sforzo esteriore; accompagnarlo con uno stato che pone i centri superiori a contatto con l’attività esterna, quale che sia. Tutti gli sforzi esteriori che ho descritto possono diventare interiori se accompagnati dallo sguardo dei centri superiori. E, dal momento che è questo sguardo l’unica cosa che conta, allora ci può essere uno sforzo che è soltanto interiore; che cioè lascia completamente invariato il comportamento della macchina. Nulla cambia in ciò che faccio in questo momento, nel come lo faccio. Soltanto, si accende una fiammella che ricorda che ‘io sono’.

Dopo tanto tentare trucchi, tecniche e metodi, si scopre che nessun trucco, nessuna tecnica e nessun metodo è essenziale, ma sono tutti espedienti temporanei utilizzabili se la circostanza, il proprio tipo e la propria storia e circostanze esterne lo suggeriscono. Come dice il detto Zen: prima dell’illuminazione, andare al fiume e portare l’acqua; dopo l’illuminazione, andare al fiume e portare l’acqua. La mente, che prima si ribellava, forse nel frattempo si è acquietata, o forse si ribella ancora - ma non importa.

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