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  • gbardazzi

La Ricerca della Presenza


Una parte di noi, più o meno visibile, prende l'idea di essere presenti come un modo per acquisire qualcosa: più potere, più carisma, più virtù, capacità di togliere di mezzo sofferenza o ciò che ci dà fastidio. In poche parole siamo noi a decidere come il presente dovrebbe essere, che spesso coincide con quello che la società ci indica come 'vivere bene' e 'diventare una persona migliore'. Il sonno sogna, immagina una realtà che non esiste. Il presente ci offre il presente. Se qualcosa migliora nella nostra vita individuale (e qualcosa migliora) è un effetto collaterale del riequilibrio dei centri inferiori attraverso la minore identificazione e immaginazione (i fattori principali che ci tengono disconnessi dalla presenza).

Essere nel presente (o più presenti) è non identificarsi più (o identificarsi meno - ci sono livelli di presenza) con quello che vogliamo o che non vogliamo, che ci piace o che non ci piace, che riteniamo giusto o ingiusto. Non importa quanto elevato sia ciò che vogliamo; da un punto di vista anche il desiderio di essere presente, a un certo momento, deve lasciare spazio alla presenza.

È, in buona sostanza, un processo di sparizione di noi stessi, di invisibilità. La filosofia antica era definita anche 'esercizio di morte', un morire prima di morire. Un altro modo di vederlo è la creazione di uno spazio in cui qualcosa di più alto e più grande possa entrare. Tecnicamente nel sistema della quarta via si parla di attivazione dei 'centri superiori'.

Tutte le tradizioni spirituali ci dicono questo, usando linguaggi diversi. Quindi, in una certa misura, lo sappiamo tutti, in teoria.

La difficoltà è rendere il percorso pratico, principalmente perché non c'è un riconoscimento chiaro di che cosa sia uno stato superiore di consapevolezza - quello è il momento in cui una luce comincia a illuminare la strada, come se avessimo un maestro interiore. Quando c'è una verifica personale e profonda della differenza tra ciò che è presenza e ciò che non lo è, il lavoro comincia a diventare pratico: il "Maggiordomo" (cercare il termine in vecchi post per chi non lo conosce) a quel punto sa cosa fare.

Al di là di ogni forma, azione, o pratica, lo sforzo momento per momento (non si può pensare di relegare questo lavoro a qualche ora settimanale) sarà sempre quello di rimettere la propria identità nel presente e provare a rimanerci il più a lungo possibile.

La nostra vita quotidiana rende improbabile un lavoro del genere, troppe distrazioni ci tirano fuori dal presente, o nel passato o nel futuro. Il sonno generale è una calamita potente e inesorabile per il nostro sonno. Così ci dimentichiamo di guardare verso l'alto. E ci dimentichiamo che abbiamo dimenticato. Fino a quando il disagio diventa insopportabile. Questo è il momento in cui la nostra ostinazione vacilla, e la profonda necessità di trovare una quiete ci apre ad altre influenze.

Rumi la racconta così:

"Nell'uomo esiste un amore, un dolore, un'inquietudine, un'invocazione, così che nemmeno se possedesse i centomila universi troverebbe calma o pace. Le persone esercitano i più svariati mestieri, ogni genere di commercio, e si dedicano a ogni sorta di studi: medicina, astronomia ecc., tuttavia non riescono a trovare la pace, poiché il loro scopo non è stato raggiunto. Il Beneamato viene chiamato "pace dell'anima"; e come si potrebbe trovare la quiete e la pace altrove che in Lui?

Tutti i piaceri e tutti i fini sono come una scala; ciascun gradino della scala non è un luogo di riposo, ma di passaggio. Beato colui che si risveglia presto, al fine di abbreviare il lungo cammino senza perdere la propria vita a incespicare sui gradini."

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