Qualche giorno fa osservavo la mia macchina esprimere io piuttosto bassi. Di quelli che appartengono alla categoria “Speriamo che la cosa brutta che è capitata a me, capiti anche ad altri”, indipendentemente dal fatto che questi altri siano amici, famigliari, persone a cui vogliamo bene e che non si meriterebbero un simile augurio. Eccone di affini: “Che bello che quella cosa gli è andata un po’ male” “Meno male che anche suo figlio ha dei problemi” “Sono contenta se rinuncia”. Quando vedo passare in me io di questo tipo, è sempre uno shock. La macchina non li riconosce volentieri perché disturbano il ritratto immaginario. Io, che mi reputo - e soprattutto vorrei essere reputata - una brava persona, sono capace di io così meschini? In me è intervenuto il maggiordomo che rapidamente ha associato quegli io al centro istintivo e mi ha suggerito di separarmene e lasciarli perdere. Un po’ come Dante con gli ignavi: “Non ragioniam di lor ma guarda e passa”. Un’espressione che si addice benissimo al concetto di osservazione e separazione. Cosa succede, però, se uno non ha la fortuna di potersi o sapersi separare? Di comprendere nel momento che quegli io vengono dal centro istintivo e/o dalla regina di cuori, che funzionano così e non c’è nulla di ‘personale’. Facilmente potrà identificarsi con essi ed entrare nell’emozione negativa dell’autodeprecazione, considerandosi una cattiva persona per averli pensati o espressi. Oppure potrà respingerli e fare finta di non vederli, coprirli come se non ci fossero stati e conservare così intatto il proprio ritratto immaginario, autorizzandosi a pensare che questi pensieri cattivi non lo riguardino con le ovvie conseguenze. Nella peggiore delle ipotesi potrà perfino seguirli come fossero il proprio pensiero. Uno studente esperto ci invitava a riflettere su quanto la nostra visione di noi stessi e del mondo circostante, di tutto insomma, dipenda e sia filtrata dalla nostra macchina. Da quello che essa percepisce o non percepisce, e da come lo fa. Tanto che se la macchina dovesse rompersi o squilibrarsi anche leggermente, la nostra visione ne verrebbe totalmente condizionata. Senza presenza non abbiamo alcuna speranza di entrare in contatto con la verità su noi stessi e sulle cose intorno a noi. Potremmo chiederci: “Che importanza ha?” In fondo, che differenza fa se la mia macchina vede rosso e invece è verde. Per me sarà comunque rosso. Anche qui la risposta può arrivare solo dalla Presenza. Solo quando si è stati presenti al verde, si comprende l’importanza di sapere quando qualcosa è verde e di non crederlo falsamente rosso. Nessuno di noi che possa vedere, udire, muoversi, rinuncerebbe senza sofferenza a queste facoltà. Così, quando si vive la pienezza della Presenza, è difficile accontentarsi di sperimentare la vita solo attraverso la macchina. I nostri io più bassi e meschini non esauriscono né cancellano la ricchezza di altre parti della macchina, del centro emozionale e in particolare del 9 di cuori, che sono capaci di produrre io più alti e intenzionali, sostanzialmente più vicini al lavoro. In pratica, quando la macchina esprime io bassi o ‘imbarazzanti’, non respingiamoli subito. Osserviamoli quel tanto che basta a separarcene senza giudizio. E proviamo a portare intenzionalmente un nuovo io più utile al lavoro, più vicino alla Presenza.
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